Quando si parla di “formazione professionale permanente” il pensiero corre all’industria e in particolare a quegli addetti – come tecnici od operai – che si trovano maggiormente esposti ai radicali cambiamenti del sistema produttivo. Ne è un esempio la fabbrica completamente digitalizzata nata, qualche anno fa, dalla rivoluzione 4.0. Ma non solo. Al concetto di lifelong learning fanno anche ricorso i professionisti per descrivere quale dovrà essere sempre più il loro approccio se vogliono rimanere competitivi sul mercato.
Molto meno frequente, invece, è l’associazione che si fa con il settore edilizio, considerato – a torto – un mondo impermeabile alle trasformazioni. Al massimo, il collegamento fra aggiornamento e settore delle costruzioni riguarda la sicurezza e le migliori pratiche per evitare incidenti, considerando l’ancora troppo alta frequenza con cui si verificano sinistri nei cantieri italiani.
La realtà, tuttavia, è differente. Il mondo dell’edilizia è tutt’altro che fermo: materiali di ultima generazione, innovazioni tecnologiche e nuove strumentazioni, fanno del cantiere un luogo in continua evoluzione e in cui sono necessari lavoratori con competenze in grado di stare al passo con queste trasformazioni.
Come spesso accade, in un contesto variegato come quello dell’edilizia, che racchiude in sé soggetti fra di loro differenti (dalle microimprese di costruzione alle aziende di grandi dimensioni, dagli studi di progettazione ai liberi professionisti) si registrano posizioni non sempre omogenee rispetto a questo sforzo formativo. Tra gli ostacoli che talvolta rallentano questo processo, si può citare la mole di formazione obbligatoria per legge che le maestranze del settore edile devono soddisfare per potere operare. Essa, infatti, contribuisce a sviluppare il pensiero che la formazione sia necessaria solo per adempiere ad un obbligo, non sia utile o non lasci il tempo per quella “volontaria”. Un secondo aspetto, più di natura “culturale”, riguarda la convinzione che l’esperienza acquisita sul campo – in anni di cantiere – sia sufficiente per superare e vincere ogni sfida. Una presunzione umanamente comprensibile ma che, purtroppo, rischia di generare danni e lasciare strascichi anche piuttosto seri. Se l’esperienza è un patrimonio da non disperdere, ugualmente certe attività necessitano di un’azione formativa. Questa poi, non solo è di tipo pratico, ma anche teorico; saper utilizzare un materiale di ultima generazione significa anche rispettarne le norme tecniche che vi stanno dietro a garanzia del suo corretto funzionamento.
Non solo. L’incapacità – per mancanza di formazione specifica – nel saper maneggiare un determinato materiale potrebbe rendere vano o inficiare gravemente l’intero risultato, nonostante una corretta progettazione. E le operazioni di efficientamento di un edificio sono esempi lampanti: posare male un cappotto termico significa porre in forte dubbio le prestazioni energetiche attese.
Una spinta nella direzione di uno skilling o re-skilling dei lavoratori edili è venuta dalle regole che permettono l’accesso ai vantaggi fiscali previsti dal Superbonus 110%. È noto come – soprattutto nel nostro Paese – l’obbligatorietà di legge contribuisca alla diffusione di buone pratiche.
Talvolta, l’imposizione normativa è salutare per lo sviluppo di un settore e la sua modernizzazione. Tuttavia, essa non può essere sempre e solo l’unico movente.
Proseguire nel cammino della formazione, accrescere le proprie competenze e aggiornare quanto già si conosce sono azioni che – oggi in particolare – devono far parte della cultura del lavoro, del lavoratore e dell’imprenditore edile, per almeno tre ragioni.
La prima ha a che vedere con la vera e propria acquisizione di tecnicalità: il “saper fare” e dunque, poter svolgere nel migliore dei modi una certa attività. Ciò grazie a conoscenze che permettono al lavoratore di affrancarsi o superare le istruzioni di fabbrica che caratterizzano un singolo prodotto o strumento presente sul mercato.
Secondariamente, una maggiore preparazione dei propri addetti favorisce e rafforza anche l’impresa, dandole un vantaggio competitivo – agli occhi del cliente che deve scegliere – rispetto ad altre realtà. Un elemento tutt’altro che trascurabile in un settore polverizzato nel quale spesso non emergono con chiarezza i soggetti più virtuosi e preparati rispetto a quelli che lo sono un po’ meno.
Ciò ci porta appunto alla terza ragione. Essa riguarda il singolo addetto che può accrescere la propria professionalità alla luce delle competenze acquisite e, quindi, vantare abilità che prima non possedeva; una qualità in più da spendere e una leva concreta per favorire lo sviluppo della propria carriera professionale all’interno dell’impresa edile.
Naturalmente, la formazione per diventare spendibile e verificabile – per aziende e lavoratori – ha bisogno di essere certificata secondo standard e norme condivise.
In questa direzione va considerata la collaborazione fra un soggetto come Esem-Cpt (Ente Bilaterale emanazione del CCNL dell’edilizia che si occupa offrire servizi di formazione e sicurezza sul lavoro ad imprese e lavoratori dell’edilizia) e Cepas con lo scopo di offrire un servizio completo a imprese e lavoratori che vogliono puntare sulla formazione quale strumento di crescita. Il Superbonus 110% e in particolare la formazione e certificazione professionale degli Applicatori del Sistema a Cappotto, sono stati il terreno sul quale si è costruita questa partnership che tuttavia si pone un traguardo più alto e di lungo periodo.
Di cosa si tratta? Di un serio momento di apprendimento che alla parte in aula affianca un’altra altrettanto importante di prove pratiche con simulazioni (a dimensioni reali) delle attività da svolgere; dopo il passaggio di un esame finale, si arriva all’ottenimento della certificazione. I numeri sono in salita: ad oggi sono oltre 1.500 gli installatori (tra base e caposquadra) certificati da Cepas secondo la Norma UNI 11716:2018.
Un segnale di crescita importante sia per coloro che così facendo accrescono la propria professionalità, sia per le imprese che possono proporsi per incarichi di maggiore complessità e sia per coloro che quel lavoro lo hanno commissionato – i tanti condomini interessanti dal Superbonus, per esempio – e che si aspettano un’esecuzione a regola d’arte in grado di restituire i benefici attesi.